Chi scrive versi o compone quadri e statue è spinto da un impulso insostenibile a far rinascere sulla terra l'età dell'oro: la fa rinascere nella sua opera, che è la stessa età dell'oro realizzata. Ma è anche simile a una divinità decadente, prigioniera nelle tenebre o esliata ai limiti della terra, che porta nella memoria il ricordo dell'utopia e della sua fine irreparabile; o da un astro che fugge, sempre più pallido ed enigmatico, l'acume degli occhi umani.
Chi vuole conoscere la luce della forma, deve attraversare l'ombra: sostare sull'orlo di un precipizio, o camminare tra due voragini, tra due follie egualmente tremende.