Ad Instanbul, tra pubbliche intimità
Questa suggestiva e suadente raccolta di versi, la seconda pubblicata da Enrico Pietrangeli, è un onirico vagabondare tra i pensieri e le idee di un grande autore, definito nella prefazione di S. Ruggeri “… un cantore solitario e onanistico”, “l’allegoria spietata di un Cristo giullare che varia possibili codici di comunicazione per interagire anziché scompaginare un mondo di regole ostiche ed impenetrabili”. Una poesia colta, raffinata, da una lato saldamente ancorata alle poetiche del decadentismo e dell’ermetismo proprie della cultura mitteleuropea tra Ottocento e Novecento, dall’altro espressione di una moderna visione del mondo, in bilico tra apollineo e dionisiaco. Il segreto è nel registro linguistico, talvolta morboso, altrove scarno e tagliente (Lettera a Lubjana; Anoressia mediterranea), ma sempre impreziosito da un lessico ricercato, capace di dipingere con brevi tratti fulminei l’universo del poeta, il quale dona al lettore frammenti d’esistenza, nella condivisione di “pubbliche intimità”.
Istanbul, Buenos Aires, Trieste, Lubjana: magiche città di confine fanno da sfondo al pensiero del poeta. Santa Sofia, “sconsacrata sapienza divina”, è ritratta egregiamente come punto d’incontro tra islamismo e cristianesimo, dove tra umidi selciati ci s’imbatte in persone tremendamente comuni, silenziose e al tempo stesso sublimi, immortalate con veloci pennellate e icastiche sentenze. Bello il rimpianto per un passato che non è stato, ma che riemerge nel potenziale, in un limbo spazio-temporale dove, tra desiderio e realtà, è racchiuso l’universo del poeta. In Epilogo XXI secolo: ungarettiana, a conclusione della raccolta, Pietrangeli scolpisce serafico la chiave del suo universo: “M’illumino di provvisorio”.
Ass. Culturale Il Foglio
86 pagine