Domingo il favoloso
Riscopriamo uno dei nostri grandi scrittori ormai scivolati nel dimenticatoio, presi come siamo da tutte le novità sfornate a getto continuo dalle onnipotenti case editrici.
Eppure, ancora una volta consiglio un ritorno ai classici: solo così potremo veramente apprezzare e giudicare i libri che ci vengono proposti ai giorni nostri.
Arpino è uno scrittore di grande maestria: con questo libro è arrivato al suo nono romanzo, sa muoversi ormai con tecnica e capacità.
La storia che ci racconta è ambientata in una Torino intorno agli anni settanta, splendidamente descritta con tocchi di squisita poesia. Domingo è un giocatore, baro, truffatore, una persona che disdegna qualunque attività regolare e non accetta di inserirsi nel contesto civile, che giudica sempre negativamente.
Si muove in un sottobosco di personaggi ambigui, frequenta bar sordidi, vive alla giornata, ma è considerato un maestro per la sua capacità di inventarsi mille volte la vita: certo, la sua vita al di fuori delle regole, ma nel suo genere, è un campione.
Eppure anche per lui arriva il punto di svolta, cristallizzato nell'incontro ravvicinato con il mondo superstizioso degli zingari: da qui tutta la sua vita viene rivoltata come un calzino. Quello in cui credeva, tutto quello che rappresentava la sua certezza, viene di colpo frantumato davanti alla rivelazione sconcertante che non tutto al mondo è spiegabile in modo tangibile: spesso bisogna fare i conti anche con l'indefinitezza e l'irrealtà.
Questo romanzo ha molti pregi - un racconto accattivante, la capacità di tenere sveglia l'attenzione del lettore - ma io apprezzo in particolare la capacità dell'autore di utilizzare il linguaggio in modo straordinario: i suoi dialoghi sono fulminanti, ogni parola ha un peso di piombo.
Einaudi
193 pagine