E il cagnolino rise
“E il cagnolino rise” è una di quelle opere che ti tengono con la mente intenta a pensare per tutto il tempo della lettura. Più di duecento pagine di pura sagace e acuta complessità. Si tratta di una raccolta di racconti scritti per omaggiare un racconto che in realtà non esiste, un perfettamente riuscito elogio all’indimenticabile scrittore John Fante e al suo romanzo “Chiedi alla polvere”. “E il cagnolino rise”, nonostante ciò che si potrebbe pensare leggendo il titolo, non parla affatto di animali né tantomeno di un cane che ride. I racconti si snodano lungo una storia che non c’è e sono tenuti insieme da un sottile filo conduttore che consiste nel dover ruotare attorno al tema centrale di un cane e del suo ridere, e nel doverlo fare trattando di tutt’altro, di storie dove il cane stesso viene solamente citato, lasciato sullo sfondo per incuriosire il lettore. Questo narrare una storia il cui elemento centrale è un cane che ride, dovendo al contempo divergere completamente da esso, è un’impresa davvero complessa che lascia il lettore incuriosito e alla perpetua ricerca di un senso unitario e complessivo. La dinamica esistenziale che fa da sfondo ai racconti è quella di una vita precaria e tortuosa, dove l’uomo deve fare i conti con la fragilità delle proprie certezze, nonché quella dell’incomunicabilità che sembra ritornare di continuo nelle storie narrate, incomunicabilità tra i personaggi che richiama però, un’altra forma di incomunicabilità, quella vissuta dagli autori dell’opera nei confronti di una narrazione che deve trattare di tutto e di nulla allo stesso tempo, di una storia che deve inerpicarsi lungo i sentieri della libera fantasia e della pura divagazione. Questo è quanto accade, ad esempio, nel racconto di Gordiano Lupi dove, fin dalle prime righe, emerge il paradosso di un funerale non celebrato, di un’anziana zia morta che riceve la benedizione soltanto, e non un vero funerale, perché non credente, come se il riceve una benedizione non fosse già di per sé un atto destinato a colui che crede. Di grande effetto è poi anche lo stile letterario adoperato dai vari autori. Il racconto di Eva Laudace, ad esempio, sembra costruirsi su un nuovo linguaggio estremamente incisivo e “sonoro”. “Quelle grosse mani mi stringevano fortemente per le strade dell’Olimpo. Ripide discese nuvole sdruccioli trucioli nuvole tornanti attraversamenti nuvole nuvole nuvole, mi passeggiavano qui e non qui imprimendo la stessa forza nei palmi, quasi la stessa forza nei palmi”. Sempre a tal riguardo si consideri pure: “E il più preferito tra i miei preferiti era un cagnolino biancolino”; oppure: “Profumavo borotalco”. È dunque evidente come “E il cagnolino rise” sia un’opera complessa e affascinante sia per quanto riguarda il contenuto sia per ciò che concerne la sperimentazione di nuovi e accattivanti linguaggi. Un’opera che va letta, metabolizzata e amata.
Tespi
256 pagine
889607097X