Il Drago

Libro "Il Drago" di Evgenij Schwarz

Nella commedia Il Drago (1943) Evgenij Schwarz (Švarc) descrive, con un linguaggio tra fiaba filosofica e metafisica, una città dominata dalla figura di un terribile e dispotico drago che ha assoggettato, da oltre quattrocento anni, tutti gli abitanti del luogo. Così come Pirandello utilizzava l’immagine dei Giganti della Montagna (1933) per indicare il fascismo e Ionesco i rinoceronti (Rhinocéros, 1959) per parlare dei nazisti nella Francia occupata allo stesso modo Schwarz scrive di un drago dietro cui si intravvede il baffone di Stalin.Il giorno prima del sacrificio di Elsa arriva in città il cavaliere Lancellotto che, avvertito da un gatto (chissà se Bulgakov si è ispirato a Schwarz per il suo gatto ne Il Maestro e Margherita), si propone di sfidare il drago per impedire il sacrificio e liberare la città. Quando il cavaliere comunica le sue intenzioni a Charlemagne, il padre di Elsa, ed alla ragazza, entrambi, assuefatti al pensiero che non sia possibile ribellarsi al drago cercano di dissuaderlo e assicurano Lancellotto sulla bontà del mostro che ha da tempo liberato la città dagli zingari e dal colera, giustificando così la figura e la necessità sociale del drago. Charlemagne conclude: «Finché è qui lui nessun altro drago osa toccarci» e all’obiezione di Lancellotto secondo cui gli altri draghi «sono stati sterminati da un pezzo», ribatte «E se non fosse così? (...) l’unico modo per liberarsi dai draghi è di tenersene uno». Dopo che Lancellotto ha lanciato la sfida al drago il borgomastro, un uomo sofferente (a suo dire) «di tutte le malattie nervose e psichiche del mondo» cerca anch’egli di dissuadere Lancellotto e vuole che il drago viva perché quest’ultimo teneva in pugno il suo aiutante «e tutta la sua banda di mugnai». Per mantenere lo status quo il borgomastro sacrificherebbe anche due città: «Meglio cinque draghi che quel serpe del mio aiutante». Nel frattempo, in punta di piedi e addossati al muro, accorrono «i migliori uomini della città» per chiedere a Lancellotto di andarsene. Il cavaliere dichiara: «Capisco perché quella povera gente è corsa qui in punta di piedi». «Perché?» chiede il borgomastro. «Per non ridestare gli uomini veri. Vado a parlare con loro» dice Lancellotto uscendo di scena e quando rientra il borgomastro gli chiede se nel corso della notte ha fatto qualche amicizia: «I pavidi abitanti della sua città mi hanno aizzato contro i cani. Ma i cani qui hanno molto giudizio. E’ con loro che ho fatto amicizia». In questa curiosa fiaba, gli animali rappresentano la coscienza della natura che, vedendo al di là dei fini puramente individuali si rivela come pura saggezza ancestrale. La fiaba di Schwarz è una grande metafora del mondo, del potere e degli uomini che in esso patiscono o fanno patire. Il drago chiede a Lancellotto: «Non vorresti morire per degli esseri deformi (...) Se tagli in due un corpo, l’uomo crepa. Ma se squarci un’anima, diventa docile e basta». Ecco descritta, nelle parole del mostruoso drago, la natura di un mondo malato perché immagine della mostruosità, una realtà fatta di necessità e disciplina che squarcia le anime. Il mondo di questa fiaba filosofica non assomiglia soltanto alla Russia degli anni ’40, ma ad ogni altra epoca, la nostra inclusa, in cui gli uomini vengono condotti alla deformità da un potere infame che altro non riconosce e promuove se non la sua mostruosità. Meglio, come sembra voler insegnare Schwarz, camminare a passi pesanti e forse si potrà ancora svegliare qualcuno.

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  • Casa Editrice
    Einaudi
  • Dettagli
    89 pagine
  • ISBN
    8806072455