Il libro errante
Recensire un libro di poesie richiede una certa presunzione. Quella, innanzitutto, di riuscire a entrare nell'anima del poeta. Che, per sua natura, rifugge ad ogni definizione, rifuta di adattarsi alla realtà, gioca con le parole per non farsi vulnerare. Eppure, i poeti, lasciano sempre indizi, desiderano che qualcuno si metta sulle loro tracce. Attendono, infine di essere 'scoperti'.
Con questo convincimento mi sono avvicinata al testo poetico di Francesca Lo Bue, "Il libro errante", edito da 'Nuova Cultura'. Da subito, si intuisce cosa sia, per Francesca, la 'parola': essa è radice di eternità, ma pure scoperta, continua ripartenza. Nel momento in cui la parola diventa 'verità', insomma, viene negata una parte della realtà. Cosa inaccettabile, questa, per 'colui che cerca' (der suchende).
Lo stile di Francesca Lo Bue è netto, senza patetico. La cifra di lettura del suo libro è certamente, come il titolo svela, l'erranza. E in fondo cosa siamo, noi tutti, se non esseri che anelano a una possibile evoluzione, per niente stanziali, costretti in un quotidiano di continue ripetizioni?
Ci sono versi davvero folgoranti, in questo libro. Quasi che, forse, solo essi siano capaci di andare realmente 'oltre', spezzare il filo, consegnarci a un destino pieno. La parola può ricomporre il senso, diventare spinta verso la ricerca, perchè ci offre una 'terza vita'.
"Una parola che s'avvicini alle viscere della notte/
e ai disegni vermigli delle nuvole,/
agli incavi immobili delle muraglie di brace".
E' un'eterna frantumazione che cerca di ricomporsi. Forse, la sintesi poetica di francesca Lo Bue (se una sintesi può essere possibile) è nella splendida 'Il navigante':
"(...) Il padre aspetta fra i cigli abbaglianti delle strade/
il ritorno del figlio/
il miele fervido della sua allegria smarrita nei viali lontani./
Cuore cristallino che vuole bussole, chiavi e timoni/
per andare verso la pace dei nomi".
Il poeta, illuso errabondo o sognatore tenace, cerca comunque un nome e una casa, una meta esatta per il suo errare, come un rabdomante che voglia imprigionare l'aria "in un canto perlaceo", con i suoi "occhi di pietra" e le sue "mani di orefice".
Nuova Cultura
90 pagine