In un bene impacchettato male

Libro "In un bene impacchettato male" di Vincenzo Calò

La scrittura da sempre è il mezzo che esterna i sentimenti più intimi o una monade che trasporta messaggi rivoluzionari, racchiusi in pochi versi e dettagliati da una spiccata capacità di osservare quello che ci circonda, con occhi liberi da bende e mani pronte all’azione. Chi pensa che il poeta sia un sognatore rinchiuso nella sua malinconia o dannato guscio, prende un abbaglio. Sicuramente testimoniare, alzando la testa e vivendo nel tempo, con la consapevolezza di quanto la memoria sia la storia di vicende più o meno piacevoli, diventa il compito e la costruzione. Calò riesce a sfidare l’ipocrisia e la corruzione del tempo, ribadendo concetti, sensazioni, crisi, invocando il senso illuminato perso in reazioni chimiche o armate. Racconta la quotidiana miseria in cui l’umanità si sta vestendo e ammonisce, come un padre fa con il proprio figlio, attraverso l’uso della parola: “le mie poesie attentano alle tue ossa/ mentre corri su strade che ricorderanno strati di superfluo sotto il Sole”. Ribadisce quanta creatività sia a portata di mano e come nei “numeri”, cadiamo e censuriamo, generando dipendenze e odio.  Il potere rende schiavi e bugiardi: “Falsi professionisti di un amaro sfogo eleggiamo/ per concentrarci sulla povertà disorganizzata/ sulla poesia rilassata, che accende il freddo/ palpeggiando seni strappati/ preannunciando i propositi per l’anno venturo”. Sottofondi carichi di forza che scuote e tenta la reazione, oltre il dramma o la commedia, Calò affonda con la sua penna e con la dialettica fissa la realtà, fotografandola abilmente. Come in un viaggio, ci accompagna, senza negare nulla, senza bende o bavagli, senza privare anche il rischio dell’incontro con il dolore, la pazzia, lo stress, la solitudine, la morte o lo stesso amore. “Dimmi cos’è l’amore se non me ne assumo il privilegio/ chi è che ti chiama quando non c’è tempo per fermarsi”. Una scoperta delle coscienze, denudando anima e corpo, portando a naufragare e disperdere “sangue gratuito”. In continuo movimento i versi formano trame e si intrecciano per slegare pensieri, formando poi metafore, immagini che compongono passaggi, epoche, giornate. “La bellezza di una ruota che non gira”, questo è quanto da un’attenta analisi siamo prossimi a diventare. La libertà troppo strumentalizzata dall’indifferenza, può alzare muri e silenzi. Ecco lo scopo del Poeta: “Spiegheremo, via sms, agli ubriachi di cultura/ come si generano le torture sulla signorina Fortuna”. Allegorico e determinante, psicologico a tratti, nel disegnare una sorte, senza volere giudicare la ragione o il torto, ma nel trovare un senso capace di destare e svegliare dal disagio. “Ricuciamo bottoni trovati casualmente/ rievocanti fiabe che male mai fanno/ sul piacere di vestirsi a disagio/ in uno spazio riconducibile alla pancia/ a riposo pur non facendosi accarezzare/ vista l’insana capacità d’essere fonti attendibili di una guerra civile/ tra stupidi calcolatori di complimenti, ch’evitano la visita medica”. Un fiume in piena alimentato dal desiderio di quella grazia eterna, lontana dalle mode e dal successo ossessivo e dalla sincera linea guida di “non farla pagare d’istinto/ agli acrobati della Speranza/ dell’espressività assonnata/ della Notte.” Disarmante il tono, proteso solo nell’intento di denunciare, ricaricare, spiegare, crescendo esponenzialmente in un bene impacchettato male. Liriche che snocciolano contenuti profondi, calzanti, satirici, ubriacanti, mai doverosi o banali.

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    DeComporre
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    88 pagine