L'insaziabile
Osvaldo Guerrieri, di cui avevo già letto Istantanee e Schiava di Picasso, sempre editi per Neri Pozza, ancora una volta non sbaglia un colpo.
L’arte dello scrivere gli scorre nelle vene, lui giornalista e critico teatrale de La Stampa, in questo libro – vincitore del Premio Internazionale Mondello nel 2009 – ci parla di una piaga fortemente sentita in Italia: quella della dipendenza da gioco, o meglio identificata come ludopatia.
Lo fa raccontandoci la storia di Pietro, un uomo come tanti, con una famiglia affettuosa accanto, con la sua routine, gli amici, l’ordinarietà delle cose e degli eventi.
Ma a volte sono proprio gli amici, che per gioco o per inganno, ti trascinano in un vortice sconosciuto, in una nuova valvola di sfogo, mai considerata, anzi completamente sconosciuta: l’euforia del gioco. L’euforia delle vincite facili. La disperazione di perdere tutto senza accorgersene.
Il gioco ti dà tanto ma ti toglie il doppio. Guerrieri lo racconta bene in queste pagine fittissime di analisi, che accompagnano il lettore in una storia indimenticabile, piena di sofferenza mista a compassione: "[…] Partire in questo caso non era sottrarsi. Partire, per chi gioca, non ha parentele con i grandi viaggi rigeneranti, con la visione di un nuovo cielo e con la musica di una nuova lingua. Nella nostra stortura, partire è rifugiarsi là dove comanda la pallina, accanto al rimbalzo dei dadi e al fruscio delle carte quando escono dal mazzo. Partire è un'idea sovrana, un richiamo che non si può eludere, una schiumata di sangue dentro l’intreccio delle vene dure, che potrebbero scoppiare. Come fosse un’attività sessuale, non diciamo se compensatoria o no, una necessità fisiologica, una tensione un po’ bestiale, depurata da ogni sentimento. No, non è una conversatina notturna al riparo d’un muro. È un adescamento feroce di femmina marcia che reclama quattrini. Ma a tasche vuote, lo sanno anche gli idioti, non c’è cunno e non c’è coniugio. A scarsella floscia, l’amplesso non accade, svapora, e nel letto ti lascia una lucertola, ramarri, un fulmineo topo".
Il gioco che ti abbruttisce, ti fa negare, ti spinge a compiere l’inenarrabile, a chiedere aiuto e a trovare appigli anche quando l’unica soluzione sarebbe dire basta. Metterci un punto. Frenare la mano. Tenere a mente quelle stesse probabilità che regolano il gioco della roulette. Quei numeri in rosso o in nero. E quello zero? Se ne sta lì, apparentemente arbitrario, ma complice come tutti gli altri.
L’autore si conferma un narratore senza sbavature, che al di là della storia, che potrebbe essere sentita e risentita, produce con la struttura narrativa, con l’evolversi della storia e con la scelta dei vocaboli – sempre precisi, mai messi lì a caso – un ritratto dell’uomo di oggi che cade nelle ombre buie della dipendenza, senza capire più come uscirne. Ma senza mai arrendersi.
Neri Pozza
176 pagine