Poesie che la guerra ha dimenticato in tasca al poeta

Libro "Poesie che la guerra ha dimenticato in tasca al poeta" di Jan Dost

"Vent’anni che provo a smuovere /dalle mie ciglia /la polvere del mio piccolo quartiere /ma non ci riesco".
Si potrebbe cominciare da questa citazione (un testo brevissimo e denso, come per la maggior parte sono quelli di questa raccolta) per dire della poesia di Jan Dost, quanto possa il dolore segnare la vita di un uomo e quanto difficile sia per lui – poeta – volerlo comunicare, sentire di doverlo partecipare, provandolo ancora, nella scrittura, dopo averlo provato sulla sua pelle, nella sua anima. "Vent’anni – ma non ci riesco": è la firma che la storia ha segnato nella sua carne, impolverando le sue ciglia, appesantite, oppresse di memoria ormai calcificata.
Se non possiamo leggere nella lingua originale, ci dobbiamo accontentare – e fidare – della traduzione: qui il curdo di Jan "suona" scorrevole e musicale, morbido nelle sue movenze anche quando dice di guerra e distruzione, sofferenza e disperazione, in qualche misura perfino addolcendo i sapori di un aspro dettato espressivo. Immagini dure, amare riflessioni, a volte addirittura capaci di una lieve ironia: il poeta – seppure a fatica – si stacca un poco dall’uomo per commiserarne la sorte. Senza retorica.
Queste poesie che la guerra dimentica "in tasca al poeta" (un fotogramma subliminale di sconvolgente efficacia nell’apparente banalità) sono un viatico per il viandante lontano dalla patria mai dimenticata, un balsamo per l’esule che forse a quella patria potrà tornare – dice – solo "in una bara". Nonostante la sofferenza quotidiana alimentata dall’impotenza, pure quelle schegge di memoria custodiscono frammenti di bene che si fanno medicina del vivere. Come le lacrime versate sulla tomba della madre si trasformano in "piccole stelle" ("ricompensa della luce"), questi versi, che nascono dal ricordo e se ne alimentano, si fanno compagni di strada e fanno luce per quella strada.
"Provare a nascere di nuovo", con la morte nel cuore, lo sguardo nel buio, la consapevolezza di tante perdite, come potrebbe essere possibile? Tornare a casa ("distrutta"), quale domani aprirebbe al profugo che avesse la forza, più che la reale possibilità di un ritorno? Con la paura che, qualora finisse la guerra e si potesse davvero tornare a casa, "non rimarrà qualcuno a festeggiare la vittoria /o a piangere per la sua sconfitta": la guerra uccide tutti, anche coloro che credono di aver vinto e invece hanno perso il dono dell’umanità.
Jan Dost compone in questo libro, compatto per temi e forme, un diario esistenziale di acuta valenza poetica, nel suo farsi "altro" da sé, nel suo trasformarsi da privato – lamento e sfogo, slancio di passione – in denuncia e condanna: la voce del poeta forse non ha, malgrado la potenza delle sue parole che si incidono nell’animo di chi legge, altro scopo che quello – lamento e sfogo, slancio di passione. Ma quanto sollievo possono dare le semplici parole del poeta, che racconta e si racconta, che si guarda intorno (e dentro) smarrito e cerca "compagni al duolo", uomini desiderosi come lui di pace e fratellanza…
La lezione della poesia non può che essere quel che è: parola che comunica e si comunica, messaggio che cerca e trova, esperienza che si fa conoscenza partecipata.

Scrivi la tua recensione

  • Casa Editrice
    Musicaos Editore
  • Dettagli
    134 pagine
  • ISBN
    9788894966862