Zombie
Ennesimo capolavoro della scrittrice americana Joyce Carol Oates, che in maniera dura e spietata ci parla della vita di Quentin P., un ragazzo del Michigan. Un ragazzo disturbato, brutale, ossessionato. Un ragazzo dalle molteplici personalità. Eppure per la nonna è solo il classico bravo ragazzo. Un ragazzo che si nasconde dietro maschere: «[…] e allora mi ero reso conto in quell’istante che potevo mostrare al mondo una faccia sconosciuta. Sconosciuta in qualsiasi angolo del mondo. Potevo muovermi nel mondo come una persona qualsiasi. Con una faccia del genere io potevo suscitare compassione, fiducia, amicizia, meraviglia e soggezione. Potevo mangiarvi il cuore a tutti e poveri stronzi non ve ne accorgereste neanche».
Un ragazzo la cui vera ossessione e ragione di vita è quella di avere un suo Zombie personale: «Un vero Zombie sarebbe mio per l’eternità. Obbedirebbe ad ogni mio ordine e esaudirebbe ogni mio capriccio. Direbbe «Sì, Padrone» e «No, Padrone». Mi si inginocchierebbe ai piedi e direbbe: «Ti amo, Padrone. Al mondo esisti solo tu, Padrone». E così sempre nei secoli dei secoli. Perché un vero zombie non sarebbe mai in grado di dire ciò che non è, solo ciò che è. Avrebbe sempre gli occhi vigili ma gli mancherebbe dentro qualcosa che vede. O pensa. O giudica.
Né esisterebbe terrore nello sguardo del mio Zombie. Né memoria. Perché senza memoria non c’è terrore.
Ovviamente uno Zombie non giudicherebbe mai. Uno Zombie direbbe: «Dio ti benedica, Padrone». Direbbe: «Tu sei buono, Padrone. Sei gentile e misericordioso». Direbbe: «Inculami, Padrone, cavami le budella dal buco del culo». Chiederebbe da mangiare in ginocchio e in ginocchio chiederebbe il permesso di respirare. Sarebbe sempre rispettoso. Come glielo ordinassi, lui leccherebbe. Come glielo ordinassi, lui succhierebbe. Come glielo ordinassi, lui allargherebbe le chiappe del culo. Come glielo ordinassi, si farebbe coccolare come un orsacchiotto. Mi poserebbe la testa sulla spalla come un bambino. Oppure si lascerebbe posare la testa sulla spalla come da un bambino. Ci imboccheremmo di pizza a vicenda. Ci stenderemmo sotto le coperte nel mio letto in camera del custode ad ascoltare il vento di novembre e le campane della torre dell’orologio del Music College e conteremmo i rintocchi delle campane fino ad addormentarci esattamente nello stesso istante».
Con una scrittura sempre attrattiva, magnetica, la Oates, disegna e rappresenta su carta le pieghe più oscure dell’animo umano. Quello nevrotico. Quello malato. Quello disturbato ma mai preso troppo sul serio. Scava nella coscienza di Quentin P. proponendo al lettore l’identikit di un serial killer nevrotico quanto spietatamente lucido nel raggiungere i propri obiettivi, valutando di volta in volta tutti i possibili risvolti di ogni sua azione.
L’edizione che ho letto è quella edita da Marco Tropea Editore pubblicata in Italia nel 1996, poi ripubblica da Il Saggiatore nel 2005. L’edizione di Marco Tropea presenta una fastidiosa veste sintattica con numerosi “&” o parti in stampatello, che spero nell’edizione del 2005 siano stati tolti. Invece, particolarmente apprezzata la veste grafica, con un’illustrazione di corredo alla fine di quasi ogni capitolo.
Il Saggiatore
184 pagine