A caccia della fantasia perduta
In spalla un fardello d’amarezza,
il pur incerto passo rompe il silenzio
di vicoli inodori, orfani d’aria di casa,
tra vetrine ubriache di led per lettere cubitali
in perenne attesa di occhi che le guardino.
I panni stesi sui fili tra i balconi
non concedono rossi, bianchi, gialli, verdi o azzurri
e seccano al sole il grigiore delle loro stoffe.
Non stridono, come avrei fortemente voluto,
con l’abbandono servito da un progresso mal pensato.
Giù in fondo, dopo il bar “Caffè su Marte”,
lo slargo s’apre, grande. Qui lo chiamano la “nostra piazza”,
soprattutto certi giovani fruitori di birre ed altro.
Oggi non mi va di andarci, stanco di vedere
lattine e bottiglie vuote sui bordi della fontana rinascimentale.
Tornerò a casa per salvare la mia fragile pelle di poeta
senza smarrire la mia gravosa ingenuità, qui,
da qualche parte di queste becere solitudini.
Calcherò ancora questi sentieri, forse domani o domani l’altro,
non per autolesionismo ma per trovare almeno orme.
Orme, fossero anche deboli, di quella fantasia
che una volta vedevo volare leggera nell’aria
per poi, come prima pioggia di primavera,
bagnare le menti e i cuori più teneramente bisognosi
di costruire senza sconti vita, amori e sogni.
*
Roma 01/10/2020