A Michele. Cinque Cento Sessantadue

Nel giorno della tua morte nessuno
indossa i guanti o esibisce il nodo,
nera mostrina affacciata alla giacca,
tetra bocca di leone.Non c'è più tempo
per i cuscini con il collare delle preci
e dei nomi, cani ben profumati a ricordare
in quante cucce entrò il tuo spasmo, nè
per la viola palizzata dei fiori accostati
alla Chiesa. Dong dong.
Nel giorno della tua morte si ride; nei
vicoli i coni sono post it alle mani ed
i gusti, artificiose chiome dolciastre,
friniscono sciogliendosi, meduse
condannate all'arena bollente.
In questo santo giorno maledetto
in cui la distanza è un'orsa e bramisce
da Place Vendome alla Costa, i pollai
evaporano la maleodorante resina
dei rifiuti  e nella paglia ancora tiepida
sono posti mancanti in sala i buchi
dei tuorli a cui non andrà l'investitura
del pigolio. Ho conservato la foto in
cui compari dietro una bibita scura:
io ed i miei riccioli abbiamo quattro
anni per quattro candele, il mio  busto
è impacchettato nel maglione più caldo,
pappagallo ammaestrato a ripetere
nella lana il colore degli occhi.
Oggi, all'alba, eri già oltre ogni
cosa, sornione e beffardo, la cravatta
sottile adagiata da qualche parte,
l'ultimo sorriso a  Philippe. Buon viaggio,
vai in alto e all'ingresso della mammella
di questo luglio bastardo, stacca il tuo
biglietto.  Riposa. Io interrompo la
corrente al pensiero.  Nella borsa
hai già tutto? Pancia sciccosa di
Hermes con dentro le tue brave ossa.