Adorazioni, richieste, acufeni

Sul prato sullo sprone di ghiaccio.
Ghiaccio di aprile, e che cosa
è stato tutto questo chiedere?
Questo voler adorare? Ma che è questa storia dell'adorare?
Adorate adorate. Fischi negli orecchi.
E dov'eri (pensiero: no; azione: no;
amore: no; paesaggio: no)?
Ora vien meno anche il potere di tremare,
tu che tremi là in fondo,
ah che svolta faticosa, che notte.
Ma ricordati di atterrare a regola
ricorda l'impatto. Come ‐ quella volta ‐ se mi avessero
meramente, appena...
Oh, animo animo. Calci, colpi di piede. Acufeni.
Eccomi, ben chiedere lungo chiedere,
eccomi, Dell'adorare
‐avevi un Dell'adorare, tu! ‐
toutes ces historiettes de femmes, de belles, de fi‐
Oh, ma con altro spirito vengo.
Io spiro spirito.
Che fantasia in quelle boscaglie e paesi exlege,
ma il loro nome mi cade via anche se non intesi
ragione più valida, più sacertà.
Condizionami se vuoi ma.
Che lunga escalazione d'anni prima e dopo,
così simili al niente come io che giocavo‐indicavo
simile al niente
simile strettamente simile.
Giocavo nel cortile
industriosamente rottami e rottami in cortile,
adoravo, quanti cortili‐beltà.
Ah mammina vera
non perdermi nella notte nera‐nera.
«Ma sono già la notte» suona tutto.
Tu ti volgi al trepestio
che è là, impaurita o
incretinita ascolti. Nonsense, pare?
Nonsense e nottinere? Acufeni?
E io, che vi facevo che vi aspettavo che vi adoravo?
E poi tu strafai strabocchi.
Ti imponi qui ‐ stare alla lettera
credere sulla parola ‐
con biro. Vicisti.
Intravisto
attraverso il verso più impervio della situazione:
«e 'vée paidi tut»