Ai profughi
Ai profughi
I mali obliare non posso
e le immagini che la guerra produce,
anche quando su un letto d'amore
una donna mi culla i pensieri.
La tragedia mi turba la mente,
quei volti mi fissano gli occhi
e nel silenzio gridano forte
la sofferenza taciuta ogni dì.
Le mie labbra non dicono niente,
ma il mio cuore soffre per voi.
Io veglio in un letto di spine,
o fratelli senza patria e calor.
Da piccolo avevo un pulcino,
che morì per l'errore d'un uomo,
tra le braccia e nel cuore lo cullo,
ancor oggi non è un vecchio ricordo;
il suo sguardo mi è sempre presente,
lì io lessi la pura tristezza
di chi muore e parole non ha.
I vostri visi blandire vorrei,
o fratelli,che il focolare lasciate,
reietti a forza dall'esser bestiale,
che nell'insana sua mente sol pensa
d'asservir la gente che lena non ha
e su di essa poi far piedistallo
per sostenere il potere da infame.
Nel mio cuore trovate l'asilo
per placare la sete e la fame,
dove c'è un giaciglio sicuro
per sentire,benchè desolati,
il calore di chi rispetta il fratello,
di chi soccorre l'ignaro viandante,
che del sentiero la traccia smarrì.
La vostra croce è anche la mia,
pur se vivo nella terra natìa.
Quando il vinto soccomberà al vincitore,
il vincitore avrà la croce del vinto
e la campana avrà sempre a mortorio
il rintocco,che fine non ha.
O signori della stupida guerra,
che guardate il dito e non la luna,
anche ai deboli appartiene la terra
e vivere in pace vi accomuna.
Gino Ragusa Di Romano
Dal mio libro "Accenti d'amore e di sdegno"
Pellegrini Editore ‐ Cosenza 2004