Albasogno
Il giorno, sordo, si complicò all’incedere dell’alba
con mormorii più bassi
perse le vene nere della notte.
Io mi assopii
quando le porte della luce non ebbero padrone
e mi sorressi, scalza, agli stipiti di un sogno.
Portavo il vago gemere dell’acqua quando scende
tra le aperture vuote delle dita.
Sognavo.
Un mare gonfio e steso al ventre di ogni terra
che mi nutriva e ostacolava i suoi passaggi
contro la densità, la carne,
un mare aguzzo di smerigli, oliato e liscio, tenda di caverna
l’orlo sfrangiato a rinvenirmi al viso tutto il sapore di ricordi
resi oscuri dalle veglie.
Un mare d’obbligo, assoluto, fedele amante in orbite nascoste
sorriso duro a picco, sale e dolore.
Io, morbida, svolgevo i fianchi all’apprestarsi dell’onda sonnolenta
sentivo l’acqua sgomitare per allacciarsi fresca ai piedi, le caviglie.
Mi ritrovai, di un dopo, scomposta, azzurrogelida, bagnata da un’aurora
sopra quell’isola che ancora mi sostiene.
Rivoli insani, la sabbia, maleparole pronunciate sul ballatoio vagante delle ore.
Eppure tutto scivolava silenzioso
fino all’ingresso di un altrove e del suo sole
caduto a brani sulla mia stessa ombra ripetuta.
Un divenire.
08/02/2008