C'era un ragazzo
C'era un ragazzo: voi lo conoscevate bene, balze
e isole di Winander! Sovente,
a sera, quando le stelle avevano da poco iniziato
il loro viaggio lungo il confine delle colline,
all'alba o al tramonto, soleva starsene da solo
sotto gli alberi, o presso il corrusco lago,
e lì, con le dita intrecciate e giungendo
le palme le portava alla bocca,
e soffiava, come in uno strumento,
facendo il verso ai silenti gufi
in attesa che gli rispondessero. E le loro urla
si diffondevano nella valle acquitrinosa, e ancora urla,
in risposta al suo richiamo, con tremolanti risonanze,
gridi prolungati, e stridi, alti echi che, viepiù,
si replicavano: una scena selvaggia di tripudio
e di giocondo frastuono. Capitava che pause
di profondo silenzio irridevano alla sua destrezza,
e, allora, in quel silenzio, mentre tendeva l'orecchio
all'ascolto, con un lieve fremito di mite stupore
irrompeva, a volte, nel suo cuore la voce dei torrenti
montani, e lo scenario che gli occhi percepivano
si insinuava inaspettatamente nella sua mente
con tutte le solenni immagini, le rupi,
i boschi, e quel cielo incerto che si adagia
nel seno dell'immobile lago.
Vaghi sono i boschi e ameno il posto,
la valle dove è nato: il cimitero è sospeso
sul declivio sovrastante la scuola del villaggio,
e passando di là, lungo la riva,
di sera, presso la sua tomba
ho sostato, credo, una buona mezz'ora
in silenzio – poiché morì all'età di dieci anni.