C'era una volta
C’era una volta un nucleo incandescente in cui si plasmò il germe di tutto l’universo, ma da dove fosse venuto il fuoco, la scintilla, restò un mistero; ancora oggi ci si accovaccia accanto per cercare una risposta, averne almeno una visione, un’impressione, una traccia, una fantasia.
Il fuoco genera o distrugge? L’acqua scende o sale? Il sole ruota o tutto ruota e solo noi siamo bloccati nello spazio di un attimo, incerti se dentro riesca ad entrarci e passare il tempo?
In questa attesa tutto si consuma: la vita, la storia, la storia della vita.
Sulla crosta infuocata un pane nero, fasciato di caligine, coperto di sale: come comparve il dolce è un mistero che ancora non si svela. Lacrime di luna no, perché non c’era, forse una sorta di umidore per quel ruotare a ancor ruotare nell’infinito, a spasso tra le stelle. Come pure è un mistero la goccia che non arse, resistendo al fuoco, restando liquida a ondeggiare, formando l’idea di una vita o l’ombra di un pensiero. Nacque prima la farfalla o il bruco, prima il polline o l’ape? Lo spazio, dice il mito, divenne all’improvviso un prato, d’erba combusta su terra arroventata, ricoperta di sabbia addormentata. Di colpo soffiò il vento, inaspettato, e l’acqua salì al cielo e tornò giù a cascata, vaporò la terra come il fiato all’uscir di labbra nelle notti di gelo, poi quietò il vento e tutto era pulito come il cielo la terra, spuntarono germogli di giunchiglie e fu la vita.
L’impasto dei colori elementari, la sinfonia dei suoni, il perenne mutar delle stagioni, era la luce e nessun si chiedeva, finché non venne il primo temporale, un livore di buio coprì il cielo e la luce che era, per un tempo che non fu dato contare, fu terrore di assenza, memoria, angoscia di illusione, così nacquero il dubbio e la coscienza. Poi, dilavato il mondo a lampi e tuoni, ricomparve la luce e la sua fonte, ma la luce era solo un prestito del sole: rimase traccia d’altra luce, inconscia, quella che c’era e che cerchiamo ancora.