Canto
Io canto il tuo corpo,
lo declamo,
terra promessa
nella quale mi abbandonavo,
fino a raggiungerne le viscere,
profonde,
per baciarne l’odore.
Ne lambivo i confini,
abbracciavo il calore che avvinghia,
che scioglie,
e tornavo lì,
dove tutto ebbe inizio,
a bere il tuo sudore,
tremante,
che avvampa la giogaia assetata.
E poi su,
a riverso,
tra i petali scuri e sottili
del fiore negato,
tra due ali di vento
e una forra incavata,
umida,
nivea,
affondavo l’idioma dinamico,
mentre il resto impietriva,
al tuo ritmico andare.
Mi alzavo,
e percorrevo,
lentamente,
una per una,
con passo sicuro,
le stanze della notte,
fino a far deflagrare il tuo respiro,
madido,
tormentato,
canne di un organo
ad un accordo in maggiore,
sacra rappresentazione,
cadenzata,
modulata,
danza primigenia di anime possedute.
E a quel punto,
morivo con te
e lasciavo morire anche il mio corpo,
distrutto e disfatto,
strappato,
trafitto,
da ciò che tu sola, tu sola,
tu sola,
mi hai saputo svelare.