Cento 28

Settimane da qui ero inesplosa e tardiva
a certi guizzi di cui sono madre in tua frenesia.
Continuavo a chiedermi quante stagioni avessi mai perso
nel nido che accomodavo a galea, e di quale infiorescenza
avessi ingerito il figlio esacerbato.
Settimane da qui  ero come sarei se fossi ancora tua orfana:
una lenza che si annoda alle rocce, forse un mandriano
che insegna alle onde l'assetto del gregge.
Adesso sono tutto e ho paura quando perdo porzioni
della tua bocca. Ma ho più vita in questa confusa
epidemia di guarirti dalla folla di quanta ne abbia
mai avuta seduta al cospetto dei miei giorni di cera
che guardavo come ne avessi spurgato l'anima in un battesimo precedente.