Cento 30
Ho un ricordo che strilla, che squilla, che stride.
Di gabbia che cantano fino a sera, dei miei piedi bambini
fra i gerani a cercare il primo giorno di scuola, del giardino
infilato come un banco nel chiostro del pomeriggio.
Non si può raddrizzre la spina della terra ingobbita.
Poi la fuga, e la notte. E le finestre già zitte mentre la
luce ancora parlotta. Ho espiantato troppe radici
per dirmi sanata, vezzeggiato la vita di sterni a cui
non avrei dovuto affittare il mio cuore. Ma so che mi
guariva una penombra di mosti e libri già pronti,
quando mi voltavo a crescere per vincere il davanzale,
credendo fosse gioia lo sguardo che saltava l'ostacolo,
e ancora non sapevo che la felicità è non vedere abbastanza.