Cento 49

Sono stata invitata ad una morte improvvisa, non al corteo
funebre e fune, ma proprio alla morte. Mi hanno messa
in panchina, uno scanno era di tradizione, il nero un richiamo
scontato per la caccia alle lacrime. Invece era tutto varipinto,
se la morte è improvvisa non serve neanche una dose di
allestimento. Mi sono seduta, ho accorciato i pensieri,
una sartoria del linguaggio è stato quel giorno, sfilava solo
il silenzio. C'erano tanti invitati, ognuno al suo posto:
il mare, la Costa,  i bracci di una vite che pareva una gru.
Tutti presenti, l'appello è durato un secondo. Una bella
cerimonia è la morte improvvisa di me, avvenuta che
avevo appena steso al mondo le gambe, ma si sa,
esistono eventi che ci mangiano in fretta.  Mi hanno
invitata forse per dirmi come sono davvero, stesa o
all'in piedi non fa differenza, che sto sotto il cielo
curvata come mi pesasse ogni volta, e mi tengo
in bilico per non addormentarmi.  Tu sai
distinguere un ulivo da un leccio, forse anche da un
pioppo, io so solo il verde, tu hai le mani d'artista
e gli occhi di un bambino che non ha ancora
fermato il suo triciclo: io sono creatura di veglia,
di feretro e luna. Ma se potessi amarti un giorno
ed un altro, credo metterei le ossa per sempre
al riparo dalla falce che ancora le annusa.