Cento 69

Quando il cielo licenzia le nubi, io non ho più il mio lavoro
di appendere in alto il tuo pensiero, la foggia sfuggente
del tuo ricordo e la gola che indossasti l'ultimo giorno.
Il mio tormento ha una stanza più grande ed una forbice
umida d'ombra fra i ciottoli e l'onda.  Adesso senza il tuo
torace che come un torchio mi ha prestato la gioia
cavandone da vinacce e lividi un sacco di cui non mi
sapevo madre, sono come la foglia che aspetta
l'appello di fine ottobre.  Me ne sto in un gomito
di ramo, attenta  a quando farai il mio nome
con la stessa voce del vento: anche l'addio
sembrerà una festa, se sarai tu a volerlo,
mi slegherò piano, scricchiolando appena la mia
croce dorata, da tutti i giorni di cui mi hai nutrita.