Che ne sai tu, uomo
Che ne sai tu, uomo, di quanta bellezza i miei occhi colgano?
Occhi brutti, bocca mostruosa, corpo deforme.
Quante volte, troppe, mi descrivi così.
Però tu! sempre pronto a giudicare, a misurare a etichettare,
tu sai comprendere la voce e il silenzio del mare o inseguire il respiro delle onde?
Sai assaporare il colore dell'attesa o di un guizzo nella notte, per un po' di cibo?
Troppo spesso nuoti in superficie, tra volti viscidi e lucenti.
Più delle mie squame.
Ma poi fatichi a misurarti con gli abissi. I tuoi. Molto più bui dei miei.
Che ne sai tu, uomo, della nostra fame di libertà,
rincantucciati tra assurdi vascelli e foglie di plastica,
spauriti dalla tua mano tentacolare, oltre il vetro dell'acquario?
Ci chiami con nomi ridicoli, talvolta banali. Strani.
Tuttavia l'animale più strano sei tu.
Sì, perché ogni tanto sfuggi – o fuggi ‐ dal branco
e solo allora riveli la tua parte migliore.
Mi guardi, e non vedi più i miei occhi brutti, la mia bocca mostruosa o il mio corpo deforme,
ma solo un pesce nell'acqua,
con la sua storia, di paure e gioie
e la dipingi sulla tela, la scolpisci sulla pietra o la racconti su una pagina.
Mi guardi, e mi restituisci la libertà, tra flutti torbidi o limpidi, quieti o burrascosi. Come i tuoi.
Ecco, solo allora, uomo, capisco che sai qualcosa di me. (poesia pubblicata su "ARCHIVIO", 2020)