Che neve sia
Che neve sia, di allora e sempre sugli occhi miei vestiti come un fiume che già traboccano parole e un lungo fiato andato senza fretta a ritrovarmi quella lacrima smarrita che non sapevo fosse mia, piccina, di navi residuo senza sale, pattuglia morbida di ombre giù al giardino dove s’inganna il verso della sera.
Come una statua muovo il passo perso tra i giochi derelitti dei miei nani, i salti in mano a un rivolo di voci che non sono, le gemme dure ai nodi di fontane e quello scherzo vecchio dei ciuffi sulla fronte che coprono un sorriso o di un inceppo a recitarmi il gesto di un androne smantellato.
Lascio la musica a fiorire sopra le tue spalle e una cantata magra in stecche pure a replicarmi nel ritorno che non c’era e non è stato e non è cosa a pattinarmi liscio sulle dita questo vetriolo secco nelle tasche come morire anche ai piccioni ed io stonata che mi conservo ancora, sul margine in levare, la partitura volata via sulla blunota spenta sospirosa mangiata oltre il recinto delle stelle prone così accadute
lumi, su di me.