Cinque Cento Cinquanta

Non sono furiosa:  il gioco, già più
che perso, mi passa fra le dita
con il guizzo della biscia e quasi sempre
poi mi sfugge, un colabrodo ogni stagione
che fa ressa al mio ventre ,ma  io dolcemente
scuoto la testa e specchio i palmi per dirmi
pulita dalla perdita, che  puntuale! 
Che non ho messo io certo intenzione
nella tarlatura che corre da un lato all'altro
del mio essere in fondo così strana.
Non sono ingegnosa: con le ossa avrei
potuto fare molto di più: argani e saette,
mostrine e tournament.  E dalla carne
mia sputarne versioni  poi migliori,
tutte pallide e ricce, perle da scuola,
da Comunione,  da marito o da nuora.
Invece mi accontento sovente di essere
una, di bino e trino solo le punte alla
fine di ogni ciocca, santini a tre facciate:
ho tese che non danno ombra ed ombre dove la luce
dovrebbe allargare.  Ma non sono furiosa:
è questo l'incasso per il mio meccanismo,
questa la cresta del mio cucù, il pendolo
esce e rincasa senza sbalzi e di scherno
ha solo la riga scura sui ricordi, banda
dispettosa sui canali in trasmissione .
E poi c'è uno scarabocchio dell'età
in cui le pedine sono veloci ed il
dado un'occasione. Ma nel mio schema
non avanza mai nessuno: tutti fermi
al mostro dell' alt, campana a muro,
battaglio imbalsamato,  merlo nell'ogiva
con il  cranio rotto dal rintocco, armadio di splendide
mosse stipate per il grande giorno
senza razza. Bastardo il senza data.