Cinque Cento Cinquantanove
Un po' di bene. Da sollevare con
la pala. Punto e vango pulendo
dal gelo l'ingresso delle mie ossa
così che non scivolerai più su di me,
tentando di afferrarmi. Eppure non accumulo
fogliame, solo bene:dorato, saltuario, argenteo,
feriale, mai festivo, scricchiolante, sordo e muto,
alternato, raro invero. Un po' di bene da raccogliere
e seminare come il beneficio di un concime,
che poi è tutto ciò che serve per incollare
la spina dorsale al mio aquilone e spedirlo,
piccione in carta, lassù da te, sulle colline,
così saprai, una volta per tutte le altre,
che da ogni costola poteva venire fuori
una bambina, bolla alta come te, Gretel
da cura, stelo con le gambine bianche
da mondina e la calma piatta della
pianura. Un po' di bene. Come razzolare
dal fuoco estinto l'ultima scintilla, eccitata
testa di zolfo, il prepuzio pronto alla
ritirata e fare il carico con quella
pepita ancora calda, sai una portata
che non soddisfa, che solo gabba
l'appetito e salta la staccionata adunca
dell' "è finita". Un po' di bene: è questo
il segreto di ciò che mi batte sotto
la giugulare, che non ha più forza
di predatore ma il rassegnato
esaurimento del fondo raschiato,
utero confessato dal nero rischio
tumescente, ed ogni tanto ravvivato
da un bocchettone puntato verso
l'esterno come un furbo cannocchiale.
Avvenimento da una tantum di cui
è impossibile il prosieguo ed è
paradossale. Come la polluzione
sboccata da un cadavere.