Cinque Cento Cinquantatre

La poesia non serve: mi dici a che serve?
Suona forse? La senti?  Forse esplode?
E' un pesce nero e ruggisce?
O una cicala in calore? Che fa me lo
spieghi? E' un moccolo adottato  dai
lampadari, sai tipo anatroccolo, Mosè
in mezzo ai cigni, un neon in servizio
a mezzogiorno.  La poesia non serve
più: questo rotolo in rewind come la
lingua verso le tonsille, questa sgraziata
cotenna, sorda bobina, gomitolo, spirale
di liquirizia, papiro dagli strani sistemi,
mi ha stancata. Ho scrollato dai capelli
l'ultimo mare meglio di un cane, scucito
il sole dal costume bianco, ho dimenticato
un pizzico di sale nell'ombelico perchè
sembrasse un'orma di neve quel posto
infame e fosse ostruito quel  vicolo
cieco in  cui nessun micio mi chiama
mamma, ho fatto tutto questo e cosa
mi resta? Ah si, certo: la poesia.
Tavola imbandita di tante cose che
morte una volta sembrano di nuovo
stantie, zombie verminosi ma gelatinati.
La poesia non mi serve. Certo, potresti
obiettare che è stata il nostro sensale,
Cupido di gommalacca sbrinato a novembre
dal mio disincanto, potresti obiettare
che è stata più valida di una festa, di un'amica in comune,
della parente del collega dell'amico che ci
presentò. Potresti ma in fondo, poi, non ci serve.
Che non ti mette più carne addosso e non
mi fa meno nuda, vigliacca e pigolante.
Allora, dimmi, che vuole?  Perchè mi tartassa,
mi sveglia, mi chiama, mi accompagna a letto
e poi mi tira già che ancora non ho infilato
la cruna del sonno? No, non ci serve!
A noi servono casa, due figli ed un cane, un
garage con la bocca sempre affamata
ad accogliere ruote e nonni  e mani che
si rincorrono perchè non sanno fare due
passi. Tutto il resto è una giostra, il baracchino
dei gelati, il bancone con le mandorle nei
caschi di zucchero ed i palloncini schizzati
di elio. Tutto il resto è farfugliare:
un merletto di fuochi d'artificio  che mestrua
nel cielo e poi si riassorbe, più o meno come
succede ogni mese a chi non ha la zolla
accogliente per il colpo che bussa e che preme.

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