Cinque Cento Cinquantuno
Disperatamente arrivo, onda terragna
sul torace a facciavista e osso per
osso ti strofino, che genio: la lampada ancora in
gabbia, poderoso mezzo fermo in
galleria, cotone da lana sulla volta
serrata, canario di scarsa compagnia.
Dalla lampada genie di possibilità
a farmi donna. Disperatamente ti chiedo,
labbra sigillate e pensieri alla spina,
di dimenticare fiere e carrugi ed i vermentini
e le sangrie di pelli sorseggiate su isole
gonfie come divani e di cancellare
i lidi in eresia dai costumi e le felpe
e doghe e dogane. E scavandoti dal
ventre alla gola, io proprio io, senza
mestiere in queste faccende, vorrei
pulirti da tutte le braccia che certo
ti tennero più a bordo di me che
devio e mi annacquo di giorni in cui
le boe sono imbavagliate dalla marea,
omertosa salvezza alternata.
Ho paura di amarti perchè ti amerei
con il mio malsano agganciarti e ti
studio da troppo tempo per non saperti
vergine ai cappi, ai lazi ed alle crune
a cui infilare il mio amo e strapparti
la carne che non mi appartiene.