Cinque Cento Diciannove
L'ora dello scarafaggio , Giano arancio,
scarabocchio da scarabeo è un quarto
alle quattordici: lo sputo risale con la
schiena lucida, masso a ritroso,
anatroccolo senza la pupa dell'unicorno.
L'atterraggio oscura il brusio peloso
del motore invertebrato ed una lente sulla zampa
indaga la rete, forgia umana ,che mi
separa dal suo regno.
Il sole doppia i muri e tra i capperi
una quadriga di pance verdi
srotola la lingua. E' questa l'ora
dei tavoli da bar, dei coni con
l'orlo inquieto, delle ordinazioni
miste di limonate, birre scariche
a favor di ragazzi. L'ora dell'insetto
arriva a puntualizzare la stanchezza
delle ali, ma quel barbaro sfregarle
una contro l'altra, orrido lavaggio,
personale baciamano, auto congratulazione
mi atterrisce, allora ti ascolto. La tua voce
vibra tra le locuste ed i campi secchi
di irtosità, barba in ovulazione.
In fondo cosa ci separa se non
un paio di specie fra larva e
tronco e qualche metro di stivale?
Ma le parole, amore mio, sono
bottoni con cui schermo l'assente
e nudo e questa voglia, malata a pelle.