Cinque Cento Diciotto
Un bargiglio, una guancia di pesca
il geranio, cucù all'ora dei vasi,
un ussaro lo stelo che spurga il terrazzo
dall'ultimo inverno. Infima la prestazione
delle mie ossa per trattenerti, ancora impilate
nella farsa dei movimenti, sbaraccano il
teatrino, burattinaio incostante fra i polsi
della piazza, vene concentriche sbiancate
dai tutù sangallo di Positano, busti
nordeuropei per pistillo. Sono ancora
la bambina dell'All night long, a cuccia
sulle gambe di mio padre, guardo
l'estate fino a tardi; nello schermo
gesso delle bifore, stampelle medioevali,
passano falene, cambio della guardia
alle cicale. Fra i ghirigori delle borsette,
la luna è testa di lumaca, alla gogna
dei muri la faccia della t shirt , striatura
di vele, pochi mesi ancora e l'Ottanta
ruggirà sotto le Chiese, serpente
mangia cemento. E tu non sai ancora
l'acconciatura dei miei anni negli anni
in cui le foto erano nel sonno, con il
dito a riposare sulla bocca ed il gioco
del silenzio effetto seppia.
Sfocatura datata a penna tra i divani
damascati e le piume di pavone,
poi la barba degli zii a tavola
a Natale, e le Polaroid che fumano,
sfornate come pizze al gusto dei miei occhi.