Cinque Cento Dodici
Con la pioggia le donne del nord vengono
fuori: lucertole da nube, lombrichi verticali,
snodabili appendini color savana, canne
longilinee nei sandali annacquati, il passo
diluito, la schiena, schermo ossuto ed
intirizzito, poggia irta, cereo palo,
su gambe fredde di giornata.
A quest'ora che ti svegli, la piana
per cuscino, a quest'ora lontana dalle
venti e dalla luna più di un miglio,
mi rassetto il cuore sperando di
lavare dagli angoli anche l'ultimo ammaraggio.
Ma intorno piove e la nebbia veste
Aprile per dispetto, visiera grigia,
magra perfidia, guizzo d'alice argento,
testa d'acciaio, azzurra dote alle braccia
prese d'assalto dall'afa settimina
e dalla primavera in fuoco.
Con la pioggia sfocano i fumi
in una bianca esalazione e le gorgiere
verdi rabbuiano il pomo d'Adamo
ai monti, lenzuola non strizzate,
affettuoso offertorio di lumache.
Forse mi manca l'attrezzatura
per sfuggire alla tua assenza
che più di un collare mappa
il morbo a cui mi immolo
e questo nodo al petto
regge meglio di ogni cucitura:
lo dico inghippo, coagulazione,
ma fa il tuo nome da quando è sciolto.