Cinque Cento Novantadue
Oggi sono morti dei fichi: una famiglia intera
rappresa dolce nel cesto riempito
dall'argano carnoso di chi li traslocò con
vogliosa intenzione. Lividi fuochi fatui di
fine stagione: dalla polpa macerata si solleva
la verminazione alata, putrefazione senza ossa.
Il sangue sapor aceto germina dal bordo della
pietosa tumulazione intrecciata su cui accorrono
le preci di cento figli di mosche. Ma chi ha ucciso
chi? Eppure un'anima si eleva dai frutti in questo pomeriggio
triste come un'elegia: c'è uno scarico per gufo
ed una bobina di carta come lapide. Non un corteo,
non certo una benedizione. In fondo tutto è morte
in mezzo alla vita: anche noi teniamo bene al caldo
il foraggio per il lombrico che suggerà al buio,
siamo chiesa elevata intorno ad una tenia.
Sacchetto di variabile durata con cui ci imbustiamo al mittente.