Cinque Cento Novantaquattro
Anche io posso farlo, che credi?
Quante volte vorrei urlare che anche io so
impastare due bei mocciosi con il moccolo
al naso e le bolle in applauso fra la prima, dolorosa
dentizione ed il mento umidiccio come uno scalino
dopo la pioggia. Anche io so montare due gambe
intorno ad un sedere appena passato di crema,
avvitare due braccia in miniatura da sorreggere a
destra e poi a manca perchè non comandino ai
piedi direzioni e cadute, anche io so annodare
bavette e fiocchetti, girare il fagotto nella freccia
del sonno migliore, soffiargli via dal pancino
il flauto impertinente della vorace
suzione, tamponargli l'udito perchè
non dia ingresso alle fitte. Anche io,
anche io so livellare pappine, erodere
biscotti col favore del latte, offrire salvagenti
alle rosee gengive in tumescenza da
fioritura. Ma tu non mi ascolti e vai
avanti a vivere il tuo bordello di carte
e di guai da asciugare come le stoviglie
a fine pasto. E qui non c'è tempo e tutto
il tempo che avevo avrebbe già potuto
prendersi un nome, una cuccia ed un
collare e quando intorno scodinzolano
razze e padroni, io continuo ad urlarti
che so farlo anche io. E forse anche meglio
se solo tu venissi per una volta, anche all'imbrunire,
a portarmi le cose di cui ho bisogno: dalla
lista che ti affidai non hai depennato
ancora nemmeno una voce.