Cinque Cento Novantotto
Sono già in ritardo, proprio io puntuale
fino allo spasmo. In ritardo a staccarmi
gli uncini con cui praticavo il mio bungee
jumping fra le tue donne: più in alto,
più a destra, così con virate da aliante,
da gabbiano e da sbronza, mi adattavo
alla piana delle tue spalle dietro le quali,
ahimè, non ho mai visto disinvolto
il bordo di un mio solo sorriso.
Sono già in ritardo, che sciocca, a mondarmi
il ventre dal tuo ultimo assaggio, assaggio
che ti sfamava come si sfama controvoglia
all'ariete di un altro cucchiaio una bocca
già piena, gonfio cuscino appena insaccato
del suo riempimento. Sono paurosamente in
ritardo, il tuo appuntamento è maledetto e
fulmineo, picchettato più di un rosso contagio,
più endemico del vento quando si passa
le foglie in staffetta l'autunno. Quindi che voglio?
Recuperare? Rientrare? Al mio corpo vengono
in mente bordelli che sanno di sale e la
veduta funerea del mare di un certo novembre,
un paio di lenzuola che l'estate ha conservato
unte, inumidite delle voraci polluzioni
di un lontano agosto allora ancor giovanetto.