Cinque Cento Ottantadue
La bimba, fuori dalla placenta, gheriglio che
si scopre, accaldato dalla custodia, ecco già
avvizzisce. La bimba, con o senza trecce,
meritava certo altra finitura.
Si industriarono sui nomi, sulle cure e le
movenze, il baco che non da seta è
piuttosto paradossale. Meglio allora
lo scarafaggio, nero ed indurito sterco
primordiale, fiorito dal pavimento come
un bocciolo di catrame. La bimba,
e tu la conoscevi, ti reclamava già
per se e da lassù: con l'iridiscenza
della stagnola si sarebbe un giorno
vestita, lucertolina castana dalla
voce in technicolor e dalle mani
già curiose, polipai intorno ai giochi
ed ai parenti, sette scatole di
mattoncini e cantieri di ossa
in feroce allungamento.
La bimba adesso è stesa ed
inodore nel suo sudario di
previsione, sogno e supposizione:
non le ronza intorno più di una
mosca e si scaccia con l'addio,
lei correttamente spenta, perchè
non fumi, come un canale che
va subito oscurato.
La bimba, che bella invenzione!
Arti e pelle appiccicati con vinavil
e date, due lampare dentro gli
occhi, da questo mare a quella
cava lei organo e tendinite.
Adesso tace nella forma che
prendono i muti a cui mai
fu imboccata una parola.
Dimenticavo: mia madre
non spara a salve. Qui,
sotto i suoi no, c'è più sangue che in un'arteria.