Cinque Cento Ottantasei
Al terzo temporale, forse dopo la brina,
o magari con le dita dei monti appena
annebbiate, come di bambini che
schiacciano di nascosto alla panna
il pulsante. Io rinnegatrice, Pietro
più del gallo, campana di tutti i no,
battaglio senza guerra, tre rintocchi,
anche meno, per disossare la vita
dell'unico stinco di gioia. Ah, perdente!
Maledetta e perdente! Ho l'aureola e
la strenna e ancora ecco che mi confondo,
che scambio il pianto con la rettitudine ed
il bisogno con il peccato. L'estate, intanto,
si smonta: ecco staccano il sole dal cielo,
si appicca di meno e solo in determinate
occasioni, il caldo già sotto calcare,
serpentina tumefatta da troppe afe
e troppi sudori, vengono via i sandali
e le crinoline, le fasce dai seni,
le barche dai porti, le vele come i
pennacchi delle divise che vanno
riposte. Quelle da processione,
un'altra Madonna che dondola, yo‐
yo di mani: più sopra, su, forza!
Al terzo temporale, alla coda mozzata
del giorno, lucertola in meritata vacanza,
sarà allora che il tuo nome infuocherà
le mie labbra come fosse il boccone
preso senza attenzione. Sputandolo
ti urlerò, ma tutti mi scorreranno
indifferenti davanti: il mio grido solo
un labiale, sfogo abortito, eruzione
implosa, bernoccolo rivoltato come
la cuspide di un nuovo inferno.
Mi venderò gli occhi e forse la
pelle per quel conato che tuba
in sciocco ritardo ma tutto il mio
stomaco, la pancia, le reni
saranno piene, che dico, zeppe
di una sola stella che fuori da quel cavo,
livido obitorio più non respira
e sollevata, poi schiaffeggiata,
declina e piano si spegne.