Cinque Cento Ottantotto
Da te non si guarisce, è legge
il wanted che ho affisso sul torace,
dispenser di tutte le me antecedenti
al tuo contagio. Piene di sorriso,
rimpolpate dalla gioia facile, scontata,
noce di buona fattura, la castagna
sputata prematura dal ventre acuminato
esploso sull'asfalto, proprio dietro la
volpe che rintana, murena di montagna.
Da te non si guarisce: vengono via
pelle e detriti, un po' come dopo le
alluvioni, scendo dal tetto, drago il
fango, succhio via dal ponfo urticante
l'infezione, ma più mi addentro in
quella inalazione, più vado in cerca
dell'ago che fu l'untore. Così mi siedo
nelle tue ciglia, paraventi aperti a pochi,
e spio il saldo di questa stagione: bende
in offerta, perfino un correttore! Verde acido
o melange? Meglio il ton sur ton: tutto valido
a fornirmi l'assoluzione. Ma no, non funziona.
Da te non si guarisce, ho piaghe da poco
decubito ma ad ognuna corrisponde un tuo osso,
ad ogni ombra un tuo passaggio, voglie insolute,
chiazze estese di deserto. Le provo tutte: rimedi
ed accozzaglie di sistemi, formule, pozioni, rieducazione,
riassestamenti, ma non una mi calza a perfezione.
Come un alveo imbrattato schizzerei via
le inopportune applicazioni. Da te non si guarisce,
così mi tengo lontana dalle storie e dalle feste,
dai mulini, dai discorsi e dai beati, dalle stelle e
dai sospiri. Sono storpia nella sanezza, lampada
per il canarino tumescente, bocca della sfavillante
eruzione, pentola di malsano bollore. Che però
mi tiene in vita: benedetto il morbo mi soffia
dentro, un Dio nero mi alita nelle radici.