Cinque Cento Ottantuno
La paura, sublinguale, serpente acciambellato,
pillola da attacco, tac. Spezzata, gambina di
legno, gesso fatto a metà, rancio fra studenti,
afta e tumescente, iridiscente la minaccia.
La paura indossa la casa, la casa che non
scalda e cade a picco, di prua, mentre mi
accascio e tutte le mie forme hanno un solo
schema. Ed al corpo perfino le ossa tendono
un agguato, il mesto tremolio che fanno le
cose prima di rompersi, la malattia che bussa
in un giorno che è mercoledì, e sembra fiera.
Tu stai alla finestra e non ti accorgi che perfino
ad una ciocca può appiccarsi il bacillo pomposo
della fine con quel suo nauseante savoir faire,
camaleontica piastrina, budello e saggina,
infilato a perfezione in una vacanza di pelle.
Piano ti agguanta e ti accompagna al letto.
" Ieri amava a meraviglia, parlava e poi
scherzava!" La paura sotto il diaframma
tesse vele da Cassandra: i " te l'avevo detto"
passano la cruna, re scontati. Ma niente
ferma l'ascesso e tutto il male che monta
e si rinforza, caparbio come l'onda che pure
è sciocca. Tanto minacciosa fino a che,
come una bolla, l'ago della riva non l'inchioda.