Cinque Cento Quaranta

Le farfalle hanno più diritto di noi:
sternini fibrillanti impiegati nel turno
di un giorno, a due danno forfait,
veloce la loro resistenza come
il lancio di un elastico,
batacchi in servizio  al don delle
primavere formicolanti di vene alate
e lepidotteri lanciati  in alto, e sbadati
frontali, sputi di scura saliva.
Persino le falene, nella buia arrampicata
sociale alle tende, toppe a trapezio,
od ai muri che va colorando la sera,
persino loro hanno più diritto e di noi.
E che dire dei ragni?
Pasciuti dalla caccia del mago a
retino, morsa perfetta, squali fra i rami,
imboscata di un'ostia.
Ogni cosa sembra avere più diritto di noi:
i volantinaggi di umidità dei lombrichi
a pascolo nel terriccio  e più sotto
ancora le radici e le verminature molli,
e forse ancora più giù, fra i resti dei
resti e le ossa.  Ogni cosa è più
forte, sana, equilibrata e sorride.
Noi siamo stati incisi nel baco
da un demone antico, venuti
fuori da una sbavatura imprevista,
come il geyser del pus, credevamo
la cura a metà strada fra due niente
travestiti da tutto.  Siamo l'incollare
ghiaccio sul vetro: uno scioglie,
l'altro gracchia, merletto, frattura,
poi cede. Strana, inconsueta commistione
la nostra,  tentativo da folli l'ammaraggio di tuberi
ai fondali, la miccia del  fuoco sui fiumi.
Appiccare il vento alle braccia
e chiedersi perchè non si vola.