Cinque Cento Quarantacinque
Detesto del pomeriggio il pomeriggio,
ed il gre gre di valigie, di case da asporto
su rotule artificiali che battono asfalti,
poi pavimenti di navi e poi ancora
piazze, rodei di destinazioni in cui
non ho posto. Detesto la lanugine
dell'afa dopo il pranzo, i piatti
scrostati come pidocchi dal
cuoio delle tavole, cerchioni da
riciclare, dischi e volanti, manubri,
e le forchette accavallate, bambine
di ferro e la finta diplomazia delle
lame chiamate a violare tranci,
molliche, interi, nodi e, missione
di spicco, i chiassosi pappagalli
dell'ultimo packaging. Detesto del pomeriggio
lo stretching fino alla sera, era bello
abbandonarsi al buio qualche frazione
dopo il mattino, sentirselo addosso
vorace, impaziente, amante tenuto
a dieta di pelle per troppo tempo.
Detesto pensarti con questo
pensiero che non accetta tregue,
che un giorno è tutto baldanza e
self control ed un giovedì dopo
sta inselvatichito e secco come
l'innesto mal riuscito.
Una bestia che poteva essere
bella se addomesticata ad
amarsi per quello che è:
ma nel recinto in cui sola
si scuote, ballando a vortice
non trova che coda e
la testa più pesa se cerca una scusa.