Cinque Cento Quarantasei
Gli stessi segni! Già
visti: analizzato quel caso
da nove mesi, più o meno,
indizi familiari e mancanti
per chi, come me, li indaga
col fiuto del vistoso digiuno.
Ma su di lei si spogliano
a caso: tubicini verde e bottiglia,
tatuati dal calcagno in su, capelli
blu nati dallo sforzo dei nati.
Così succede quando nel ventre
si portano cose che somigliano
ai noi incontratisi in un nodo
delle due stoffe, infuocati dal bacio,
dall'amplesso, dal fato. Di tonico,
è vero, forse ha solo la lingua, ma è
veloce e soddisfatta del suo essere
scatola ben confezionata ed
assestata dal ripieno venuto fuori
tre volte, parto normale, fortune,
destini. Nello specchio che ci
fa da tornasole, di uguale abbiamo
solo l'età, le canzoni alla radio,
i giochi, i vasi retrò della piazza,
due amici, la cartolina rossa,
inaspettata freccia da Londra:
poi siamo come i rami di una
fionda, siamesi per il gambo
dell'infanzia anni Ottanta e deviate
da forze speciali, da corsi fratellastri.
Il mio piuttosto un pantano di notizie
venute poco o mai arrivate, il suo
pregno: bavette, casina delle api,
gne gne, pastrocchi ed orari contati
come le monetine dell'ultimo resto.
Le mie caviglie sono due scudi,
ancore troppo sottili per il fondale del mondo
e più su, la corazza omogenea, è antiproiettile,
un gong a cui manca la verga , lo scuotere:
a che serve in fondo un tamburo
se non a tamburellare quello che è ?