Cinque Cento Quarantuno
Vogliono essere come noi:
me e te. Ma solo per gioco:
la penna, in verticale, è
infilata nel foglio, natica
da diporto, gli occhi tirati
al piattello, ago scandaglia
braccio, il tartufo a caccia
del padrone, fiele a pieni
polmoni, la fiala è su,
nella testa, clessidra già
guasta, il tempo va speso
qui sopra. Noi e questa
nostra comune malaria: ci ha
punti una volta da bimbi,
forse di meno, tu dieci volte
più grande di me, con l'ampolla
del fluido serpente che uguale
ci attraversa le dita, vagonate
di versi e virgole e scontri e
deviazioni, deragliamenti.
Vogliono essere come noi:
e provano, provano.
Ma sanno come si fa?
Non esistono vacanza, sosta,
riposo, pausa, pic nic, colazione,
a sacco,briefing, aperitivo, partita,
simulazione. Non è da tutti stare
fermi con questa tormenta fra
i pali del cranio, da tempia a
tempia uno sciamare continuo
di ricordi e bollette e strade
e nomi ed amori e morti e
resuscitazioni violente e poi
pietre scostate dai sepolcri
ed ossa sguainate come
una Torah: dal tronco si legge
quando ci inanellammo alla
sventura che però ci seduce,
incantandoci al letto.
Non è di tutti questa stagione
che sembra passata ma non
si estingue quando svegliandoci
appena o appena iniziata la fiumana
che porta al mattino, siamo già
pregni, imbevuti, ubriachi delle
sante parole e così, va curata
la sbronza, assaggia, sputiamo,
ma sempre io e te, insieme,
a distanza, complimenti,
contagiati senza toccarci.