Cinque Cento Sedici
L'altitudine è dispari: dal mare salgono cifre
indivisibili a targare il nido in cui è il mio circolo.
Ho apparecchiature di riproduzione inutilmente
oleate, un limo arancia e blu a fecondare il marmo,
semi a capofitto urtano le ossa rimbalzando,
gittata seria e senza frutto. Corde di nubi
disegnano corredi per la sera che rannuvola
e nelle culle quelli che erano lombrichi,
hanno le reni già corpute e pance arzille,
vulcani di pappe in flautulenza, ocarine
rivoltate all'occasione per stuzzicare
il sonno; i piedi riottosi alle suole,
scalciano proiettili di feltro e le coperte
mummificano lo spauracchio dei malanni,
poi scivolano con il passo delle maree.
A volte credo di essere dispensata da
questi accadimenti: dai manifesti
dei compleanni, dai gigli tesi
in Comunione, colletti ed amido su
un altro Maggio, dagli allestimenti
azzurri e dalla rosea metereologia.
A volte mi avverto ferma come la risulta
accomodata fuori dai cantieri:
miscellanea di cose acciuffate fino
al fondo, e scariche, svernate dal focolaio
dell'uso eppure cosi intonse da fare
commozione. Una parata di aggeggi
con finalità molteplici tenuti
sapientemente in caldo per restare ghiaccio.