Cinque Cento Sette
Le finestre a pancia in aria,
grattino di primavera,
il caldo opera a cuore aperto,
teche di mestiere, le stanze
come ossa, reliquia pagana.
Il divano nuovo scongiura
rigetti alle sedie, diritto
di prelazione. Acconsentono.
Che resti.Geometria di
interni poco quadrati
e battiscopa per gengive
e pareti per capelli.
Il solito pazzo del mezzodì
scuoia la piazza con una
foto sotto il braccio della
Ravello che fuma, box
di defunti primi novecento:
l'umidità frana sulla stampa,
acne monocromatica fra il
cortile moresco e la vecchia
fontana. Ora capisco cosa intendevano
le stelle, ora so tutto. So che non
basteranno tre giri intorno ai tigli,
la filastrocca dei pulpiti, il Giona
esploso dalle fauci. So che tutto
mi sta intorno con la perizia e
la costanza di sempre:conventi,
balbuzie di vento se il mare
inforca l'afa, ginestre e corpetti
da tarantella. Sono io che ho
sentore di ingresso appena
brillato: la gozzoviglia di un'ora
di nord mi recò un'orma, un indizio.
E chi mi incontra si volta alla
scia: faccio odore di te,
di cosa non loro, di cosa
straniera. Nocciolo espulso
dalla balena e ancora indorato
del suo succo nero.