Cinque Cento Trentaquattro
Sfebbrare: mi strofinano
con l'alcool. Ero sporca di sangue
quando con una pacca mi diedero
al mondo. Dovevo già allora
non restare nè rosa nè calda,
certo non così a lungo.
Il serpente da cui ebbi la vita,
mi attanagliò il collo con
doppia mandata, per poco
mollavo, invece voilà: eccomi
qui, a testa in giù come
sempre, come Pietro rivoltata,
crocifissa al mio Santo di fine
maggio. Ero sporca di sangue,
sarò sporca di fuoco. No, dicono.
Il fuoco andrà via con questa
energica aspersione di palmi
unti dallo Spirito in flacone.
Sfebbrare: in fondo è solo
estrarmi dal cuore il tuo nome,
ma se fosse poi così facile
credo basterebbe portarti
sopra il mio seno e chiederti
gentilmente di riprenderti
il colpo.Ecco che accorrono: orario
di visita. Sono la torta del capezzale,
la ciliegia nel letto. Hanno più
fame del " come è successo" che
del mio sanamento. Si allungano su
di me con gli stetoscopi dei nasi:
la fine se è fine ha un odore
sottile; mi adombrano con le
fonti aggrottate, con le mani
al Mercurio. La curiosità ingrandisce
i difetti: le pupille sono nei
gettati nel mare che mi è venuto
in eredità, dicono, da un lontano
cugino del nonno , o forse chissà,
ancora più su sull'albero antico
sta il ramo con appesi il corredo
e i miei dati. Adesso spiegato
il perchè dei capelli.
La seconda volta avevo già
un dente: una pausa e non
respiravo più, terrore di mamma,
papà non trova il Rosario.
Nessuna pacca, nessun intervento:
da qualche parte mi oliò
il buon Dio. Miracolo e Osanna
per la bambina con il cielo
negli occhi che si salva ancora
una volta. Sfebbrare?
Non credo.
Questa deve essere la
definitiva. Inutile accorrere:
il soccorrere burla.
Non sono mai stata più
morta che in questa morte
che ha le tue spalle, il tuo
mento fiorito dall'incuria
di soli due giorni e gli
occhi fermi del predatore
un attimo prima del balzo.
E guai a chi mi salva!
Finalmente mi concedo
alla chiave di tutte le porte.