Cinque Cento Trentasette
Lettera agli approcci dal mare,
ai viandanti delle stagioni
generose di umori, rumori:
la Costa è un cranio in preghiera,
chino sulla camicia sbottonata
da Golfo a Golfo, dopo l'amore.
Nessuna intenzione di rabbocco
alle asole. Mette in circolo sangue
col sale, poi le vene hanno ingorghi
di lombrichi a due piani, di lumache
corredate di servizi, cucina e
tre biciclette, luccichio di pendagli alle
gonne e alle zingare.
La Costa vende brodaglie a prezzo di linfa:
è esplosa dal torace di Dio, obliterata
e perfetta, osso per cani che l'azzannano,
consigliabile Marzo concluso, scrollati
via coriandoli e sedie sbattute dal vento.
Di qui passano bene gli scirocchi,
monsoni parenti e le tramontane
sono amazzoni svelte sui
miraggi di asciutto.
Lettera agli approcci fugaci:
La Costa mi tiene nel suo
ombelico da sempre, io scendo
i gironi che vanno alle viscere
ma sanno sempre di fiori,
di lucertole e strisce, di venerande
sospensioni dal male. Una volta
imbevuti del suo ticchettio, asprume
di alici e limoni, sfusato, colato,
garum, inchiostro, natura,
difficile non insaporirsi.
Chiunque, annusandomi, sa
come arrivo e da dove: vana
la detersione dal paradiso con
il crasso di inferno. Qui senza
un Orfeo (con il tuo nome) che
mi torca il collo mentre mi volto e rintano.