Cinque Cento Ventidue
Sin da bambina ti avevo avvisata,
ti avevo avvertita: mai prendere
le cose altrui, siano esse cuori
o pozioni, ruoli o vicende.
Le cose altrui sono piene di
impronte e hanno mandate
con lettura cifrata, toccarle
è scardinarle, sfiorate
già urlano, svegliando la
mano che le trascurava magari
neanche da un'ora.
Le cose altrui hanno
il rewind schiacciato sul
fuso e per quanto il tuo
allestimento possa somigliare
alla matrice da cui vennero fuori,
un venerdì o una domenica
sgattaioleranno da una crepa
sul muro, da una finestra socchiusa,
approfitteranno della visita
per prendere aria infilando
la porta meglio del bottone
con l'asola. Le cose altrui
sono quarti di carne ,
l'appartenenza cucita nel sangue:
ma certo tu dirai che esistono
l'abrasione, la cancellazione,
l'occultamento, l'addomesticamento,
il tempo, l'amore, la pratica ed
i sacrifici. Sembrerà strano,
suonerà triste ma le cose
altrui sono gobbe per sempre:
puoi fingerle dritte, col portamento
impalato sull'attenti, oppure
seppellirne la pancia sul retro
con un mantello, una tenda.
Ma basteranno un occhio
più attento ed una zampa
di vento ed ecco che tornerà
fuori il ponfo col nome del
posto da cui sono venute.
PIù difettoso è il difetto
che, travestendosi, evidenzia l'ascesso.