Delirio
Il mio nome è un altro,
guardo il soffitto tappezzato di
umidità,macchie di una
malattia che fa sbandare i
neuroni in presenza di scale,
mi piacerebbe spogliarti qui
con questo freddo che abbaia
come un cane rognoso, sedotta
da un quadro di nudità vedo
quasi piangi dalla voglia,
hai un sorriso liquido, il
rossetto è sangue che
imbratta le pareti, una lussuria
che allarga le vene, metto le mani
sulle tempie, dietro le tende
scrosciano le tue ossa gialle,
si staccano le parole dal giornale
che strappiamo con i corpi
a terra, da dentro una canzone
ti parlo, mordo le caviglie
gocciolanti e il
piede nervoso d’amore
ossessiona, vedo un bisturi
una stanza di ospedale,
la parola scritta nera
in fondo a un corridoio
troppo bianco "chirurgia",
uno svenimento che sento
tutto nelle orecchie che si
gonfiano spaventosamente, poi
niente, niente di reale,
sono solo col tavolo e i
piatti lasciati al futuro,
mi alzo e vado spettinato
figlio della fortuna.