Di questo non dimenticarci mai
Poi tornavamo al mare, caduti i peripli di isole già morse, come vestali smesse e un urlo sulla porta da corteggiare quando le sere scendono malate e si fa vivo il messo ansante e rosso per la neve del suo dispaccio doloroso di buonora e malasorte azzurra sulle spine. Calpestavamo foglie, già, sconfitte col nostro piede malandrino perché le noci rotte arrivano più buone dalla boscaglia santa se di vento
e cantavamo, attente a non disperdere le note ricce tra rami di un albero bambino in girotondo a testa e croce di bambole mannare, su per la calza al tacco di camini svaligiati solo in sogno e l’ansia, tua, di restringere la bocca del dolore e la paura mia di prenderlo a mantello senza il tempo che già ci scorre a imbuto questo inganno – affondo di non sapere mai da quale parte attacca il sale l’onda.
Ci nutrivamo, intere, con una corda all’acqua e mani screpolate, ricordi il gioco dei delfini in vasca e il mio viso d’ancora appannato sullo specchio? Non era arsura tua soltanto, era anche mia la sete delle stelle assenti nel rito di un notturno che ho nel cuore.
Ci vestivamo, lente, di quei vestiti scesi ad uno ad uno cadenti anche le nostre vite sulla sabbia
ci vestivamo insieme e adesso questo conta sulla carne, adesso di questo non dimenticarci, mai.
A mia sorella e a Francesco, che vorrei poter ringraziare, se mi legge.:)