Divorzio

Da padre vidi ch’era bella: mi darà un nipote,
sarà una buona madre, pensai della signora;
ha quella giusta dote per diventar mia nuora
e fu nel tempio sposa e ne sortì una figlia
una famiglia nuova, certo gradita a Dio,
eppure mi sbagliai.
Compiva Davide cinqu’anni quand’ecco inveire lui:
"Son stufo, me ne vado, non la sopporto più".
Furono tinte nere, incubi di morte, la mia peggiore sorte.
"Figlio che fai? C’è il bimbo, esiste un giuramento,
Sacramento di Dio, te ne pentirai, riflettici su!".
Devastò il dovere, ignaro del peccato,
senza pensare al poi, senza badare a nulla,
del genitor che fu s’era dimenticato.
Come ubriaco, cieco, tramortito restai.
Vagai tra la fanciulla, una brava moglie,
il piccolo, un infante candido, innocente,
la vergogna, la gente: mi mancava il fiato.
E m’è rimasto lui, divertente, tenero, educato,
la grande mia passione;
occhi color cielo e mare azzurro,
leggiadro il volto, miniato,
venuto a lenir la delusione.
Compiaciuto, allegro, vanitoso,
distoglie alquanto il mio pensiero
dall’incresciosa, ingiusta situazione
che mi commuove al pianto
quando penso al passo sconveniente,
quella cattiva azione che ha spento tutta l’allegria
e ha spezzato via la mia stagione.